Tutti i racconti (1897 - 1922) - Howard Phillips Lovecraft |
Le fondamenta del terrore lovecraftiano
Dagon è uno degli indiscussi capolavori di Lovecraft. Scritto nel 1917, il racconto pur nella sua brevità contiene – in semplici accenni più o meno approfonditi – tutto il background su cui, successivamente, l'autore costruirà il “Mito di Cthulhu”.
La storia, raccontata in prima persona, ed è questa una costante della produzione narrativa di Lovecraft, narra la strana e visionaria avventura occorsa ad un sovrintendente della marina americana, mentre sfuggiva dalla prigionia tedesca disperso nell'oceano pacifico. Durante questo “naufragio” il protagonista sbarca lungo una terra fangosa e limacciosa in cui – dopo un periglioso cammino – giunge innanzi ad un obelisco ove scorge una inquietante visione: Dagon (* vedi nota sotto).
La visione terrorizza il protagonista al punto che in preda alla più cieca follia scappa urlando e cantando sin quando non si risveglia in un letto di ospedale e con la consapevolezza che la sua vita è rimasta per sempre segnata. Lo stesso protagonista infatti, come spesso avviene in Lovecraft, alternando momenti di pura follia a momenti di estrema lucidità afferma che la morfina ormai è
“la sola che renda la vita sopportabile”.
A seguito dell'orribile visione, quindi, il protagonista subisce un cambiamento. Percepisce l'imminente orrore che potrebbe scatenarsi sul mondo. Si rende conto di essere inadeguato e rifiutato (ecco che appare nuovamente il tema del rifiuto del mondo reale così come era stato per “La Tomba”) dal mondo. Emblematico in tal senso è il passo del racconto in cui il protagonista senza nome (ennesima trasposizione dell'autore sulle pagine dei propri racconti) dichiara: “una volta ho cercato un etnologo, un famoso scienziato, divertendolo con le mie strane domande sull'antica leggenda filistea di Dagon, il Dio-Pesce; poi, resomi conto che era legato a punti di vista quanto mai convenzionali, ho lasciato perdere”.
In queste poche righe c'è tutto il sentimento di inadeguatezza dell'autore verso il mondo reale. Quel mondo che lo rifiuta. Che lo scoraggia. Di cui lui, suo malgrado sente di dover far parte, ma che non riesce ad accettarlo. Ed infatti lascia perdere. In una sorta di cupa rassegnazione. Triste presentimento del gesto estremo che, in definitiva, il protagonista sa essere l'unica via d'uscita, l'unico scampo onde evitare di assistere alla distruzione del mondo, da parte degli esseri abitanti di quella terra orribile.
“Sogno il giorno in cui usciranno dai flutti e stringeranno negli artigli immensi i resti dell'umanità insignificante, logorata dalle guerre... il giorno in cui le terre sprofonderanno e il fondo oscuro dell'oceano salirà in superficie, nel pandemonio universale.”
Un racconto per certi versi catartico, per il suo autore. In cui lo stesso mette per iscritto tutta la sua frustrazione nei confronti di un mondo che già a 27 anni lo aveva deluso. Non è un caso, infatti, che lo stesso autore ha scritto pagine e pagine di difesa di questo racconto, troppo facilmente etichettato e criticato dai numerosi detrattori del tempo. Una difesa del racconto che assurge anche a sua personale autodifesa, timido tentativo di ribellione al mondo reale.
Dagon è, quindi, senza dubbio uno dei più bei racconti di Lovecraft. Un classico in cui la dimensione dell'orrore assume connotazioni titaniche proprio per le descrizioni a volte monche e altre volte minuziose. Un racconto che influenzerà drasticamente e definitivamente tutta la produzione successiva di Howard Phillips Lovecraft.
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Il racconto Dagon è contenuto nell'antologia edita da Mondadori, Lovecraft Tutti i Racconti 1897 - 1922, nella collana "Oscar scrittori del Novecento", n. 1839, a cura di Giuseppe Lippi.
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ISBN: 88-04-55703-6
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NOTA
(*) Dagon era un dio mesopotamico adorato dai Filistei, ed il suo nome significa «grano». Va detto che, questa, è una delle poche divinità del “pantheon” lovecraftiano (insieme a Nodens, dio celtico) che l'autore prende direttamente da entità venerate realmente in epoche più o meno remote.
Dal primo Libro di Samuele, capitolo 5, versi 1-7.
[1] I Filistei, catturata l'arca di Dio, la portarono da Eben-Ezer ad Asdòd. [2] I Filistei poi presero l'arca di Dio e la introdussero nel tempio di Dagon. [3] Il giorno dopo i cittadini di Asdòd si alzarono ed ecco Dagon giaceva con la faccia a terra davanti all'arca del Signore; essi presero Dagon e lo rimisero al suo posto. [4] Si alzarono il giorno dopo di buon mattino ed ecco Dagon con la faccia a terra davanti all'arca del Signore, mentre il capo di Dagon e le palme delle mani giacevano staccate sulla soglia; solo il tronco era rimasto a Dagon. [5] A ricordo di ciò i sacerdoti di Dagon e quanti entrano nel tempio di Dagon in Asdòd non calpestano la soglia fino ad oggi. [6] Allora incominciò a pesare la mano del Signore sugli abitanti di Asdòd, li devastò e li colpì con bubboni, Asdòd e il suo territorio. [7] I cittadini di Asdòd, vedendo che le cose si mettevano in tal modo, dissero: "Non rimanga con noi l'arca del Dio d'Israele, perché la sua mano è troppo dura contro Dagon nostro dio!"--
A questo splendido racconto (ed a La maschera di Innsmouth, altro racconto di HPL) è stato ispirato un film: Dagon - La mutazione del male, diretto nel 2001 da Stuart Gordon. Malgrado la storia sia un mix tra i due racconti suddetti con aggiunta di personaggi nuovi rispetto agli stessi, le ambientazioni e le atmosfere sembrano davvero dare "vita" alla visione orrorifica di Howard Phillips Lovecraft.
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