L'elenco telefonico di Atlantide - Tullio Avoledo

L'elenco telefonico di Atlantide - Tullio Avoledo

Avoledo, sorpresa ed eleganza
“Avoledo! Chi era costui?”, parafrasando un famoso incipit di uno dei capitoli più interessanti di “I promessi sposi” – l’ottavo per dovere di cronaca –, chissà quanti si sono posti questa domanda. Io fra questi. Vedevo nelle librerie e nelle riviste di settore, l’ammiccare invadente di quella copertina metà gialla, metà azzurra, con quel titolo così arrogante e ambizioso e quel nome così sconosciuto, dai vaghi riflessi spagnoleggianti, il tutto scritto con quel carattere che sa d’antico, il Courier, che nel complesso tradisce una scelta grafica studiata nel dettaglio.
Cos’è mai “L’elenco telefonico di Atlantide”? Mi chiedevo.
Che sia un saggio pseudoscientifico, che – non è mai troppo tardi – dia ragione alle letture del profeta di Atlantide, Edgar Cayce…
Che sia una trovata pubblicitaria delle compagnie telefoniche, che so, un mezzo per globalizzare le linee…
Che sia, ancora, una diabolica trovata volta a riunire in un unico libro tutti gli utenti registrati alla chat C6…
Niente di tutto ciò, la risposta era sulla copertina stessa, discretamente celata e quasi fusa in quella felice scelta di colori (del resto il giallo e l’azzurro stanno bene insieme, vero Barbara?), concretizzata in appena sette lettere: ROMANZO.
Parola di certo impegnativa, ma capace di solleticare e sollecitare, l’interesse di chi, abitualmente, divora i libri come generi di prima necessità.
Premessa d’obbligo, a mo di scusa, per giustificare – qualora ve ne fosse bisogno – il desiderio di possedere una copia di quel romanzo, che ormai stava diventando un ossessione. 
525 pagine, divise in 31 capitoli più una coda. Già da questi pochi numeri si intuisce un progetto narrativo abbastanza impegnativo. Ogni capitolo è contraddistinto da una citazione, da quelle comiche a quelle più filosofiche o religiose.
Tra queste pagine si snoda la storia. 
La storia di Giulio Rovedo, che palesemente mostra di essere una sorta di alterego dell’autore, e non solo per l’assonanza dei nomi. Così come l’autore anche Rovedo è avvocato e lavora come legale in una banca. Una banca del Nord-Est, il ricco Nord-Est Italiano.
La storia inizia con Rovedo alle prese con i soliti guai dell’esistenza umana: il rischio di un trasferimento improvviso a seguito di una fusione societaria, problemi di coppia con la moglie, il figlio di salute cagionevole, un amico che sta morendo – lentamente – di AIDS, beghe condominiali con un vicino chiassoso e alquanto strano. A ciò si aggiunge, ben presto, un altro fatto, di per sé insignificante: un Hacker mette in atto un tentativo, molto strano, per ricattare la banca in cui è legale Rovedo, registrando un dominio on line con la sigla della banca e diffondendo, dapprima notizie diffamanti sulla banca stessa ed in seguito riempiendo il sito di immagini Hard di tutte le specie. Toccherà a Giulio, su incarico dei suoi superiori di colpo ostili e misteriosi, cercare un contatto diretto con il ricattatore che, per altro, non fa mistero del fatto che è con Giulio che vuole trattare.
Dall’incontro con l’Hacker, il buffo Maurilio Calzavara, la vita di Giulio Rovedo, legale della Cassa di Credito Cooperativo del Tagliamento e del Piave (detta CCCTP), muta drasticamente.
Di colpo Giulio viene proiettato in un ginepraio di situazioni al limite della credibilità e piene zeppe di personaggi ambigui e tremendamente convinti di ciò che professano.
Il professor Libonati, l’uomo del treno, che racconta a Giulio una storia inverosimile di dei e demoni egizi, dell’Arca dell’Alleanza e del Santo Graal, di Nazisti e di Ebrei.
Cecilia Mazzi, funzionaria di Bancalleanza, la società che sta procedendo all’incorporamento della CCCTP, donna minuta ma assatanata, di cosa? Bhé, basta cercare una parola che faccia rima con il suo cognome (e di questa piccola divagazione, nella lettura del libro capirete perché).
Amon Gottman, pallido e slavato, quanto cinico e spietato, alto funzionario di Bancalleanza, che porta il nome di uno dei più potenti dei della cosmogonia egizia.
E ancora, l’acqua del condominio Nobile, dove abita Giulio, che di colpo pare faccia guarire dai mali, i pellegrinaggi della gente per riempire bottiglie d’acqua e gli ex-voto per chiedere una grazia, i politici in cerca di consensi, i condomini che cercano di sfruttare l’evento economicamente… uno spaccato d’Italia, dunque, valido ovunque senza particolari collocazioni geografiche.
Queste sono le basi della storia, che non è il caso di approfondire ulteriormente per non togliere il gusto di leggerla e di vederla dipanarsi pagina dopo pagina.
Non è un luogo comune o un eccesso d’enfasi nei confronti della storia, aver utilizzato il termine “vederla”, è semplicemente un modo esplicito per porre l’accento su una delle migliori qualità espresse da Avoledo nella composizione di questo suo romanzo. In effetti scorrendo le pagine, non è affatto difficile vedere le scene prodursi innanzi agli occhi e questo, stranamente, senza che l’autore si abbandoni in descrizioni minuziose e particolareggiate. Avoledo mostra di avere la dote, rara negli scrittori di grido non solo italiani, di saper focalizzare il racconto su alcuni particolari essenziali e lasciare il resto ad uso e consumo del lettore. È proprio questo, in fin dei conti, ciò che consente al racconto di mostrarsi ai nostri occhi come un collage di scene, montate dall’abile mano dell’autore, che ne diviene quindi anche regista.
Altra notazione di sicuro merito che va fatta al novello romanziere, è quella di aver saputo coniugare ironia, suspense ed eleganza narrativa senza mai scendere a compromessi con nessuno di questi aspetti.
Sarebbe stato facile, infatti, per l’autore, abbondare in situazioni ironiche e divertenti potendo avere dalla sua l’attenuante dell’opera prima. 
O ancora avrebbe potuto attingere a piene mani dal genere, per adesso imperante, “thriller” inserendosi nella già affollata schiera di autori a ciò dediti.
E invece ha scelto l'eleganza. L’eleganza di una scrittura pulita, agile e mai doma. L’eleganza di autore capace, eppure umile, delle parole ricercate che, tuttavia, non stonano affatto nel contesto in cui sono inserite.
L’eleganza di uno stile capace di condurre per mano attraverso le 525 pagine, di far arrivare alla fine del capitolo 31, contenti di come si sia risolto il tutto; capace di osare a spingere il lettore fino alla “coda” del libro. Coda in cui, l’eleganza presenta un altro importante elemento che, probabilmente sarà una costante delle storie di questo autore, la sorpresa.
Sorpresa fine, sottile e tagliente. Come i telefilm di qualche anno fa “Il brivido dell’imprevisto”. Una sorpresa che arricchisce l’intero racconto, lo rende romantico, dolce, e palesa – nell’autore – una sensibilità di scrittore che può far ben sperare riguardo le produzioni future.
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ISBN: 978-88-518-0012-3
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