Mare di Bering - Tullio Avoledo

Mare di Bering - Tullio Avoledo

Avoledo, avanti tutta
In uno shaker di pagine bianche mescolate una parte di abile fumettista, una parte di regista provetto e due parti di romanziere esperto. Agitate il tutto aggiungendo tanta sana ironia, un pizzico di romanticismo che non guasta mai e servite abbondantemente in ampi libri di almeno 400 pagine.
No, non è la ricetta pazza di un cocktail improbabile ed improponibile, ma è un modo per descrivere – si spera azzeccato – la personalità e l’indole di uno scrittore che non può più definirsi emergente, ma deve a buon diritto e a pieno titolo ritenersi una concreta realtà nel panorama della narrativa italiana: Tullio Avoledo. 
Con “L’elenco telefonico di Atlantide” si era già avuta l’impressione che si trattasse di uno scrittore dalla vena creativa dirompente come un fiume in piena, tuttavia si poteva paventare che gran parte del successo di vendite e critica era alimentato dal fascino dell’opera prima, dalla posizione di scrittore emergente e dallo stile oceanico e scrosciante, tipico di una scrittura elaborata in anni di allenamenti e perfezionamenti.
Personalmente avevo l’impressione, per intuito affinato in anni di letture, che il potenziale messo in campo da Avoledo in “Atlantide” fosse solo una minima parte, una prova generale di ciò che l’autore fosse capace di produrre.
Puntualmente con “Mare di Bering” Avoledo non delude le aspettative di chi si attendeva un’“opera seconda” agli stessi livelli, se non addirittura superiore alla prima. In effetti dopo il successo ottenuto con “Atlantide” non era per nulla facile accostarsi alla lettura di “Mare di Bering” senza continui riferimenti all’opera prima. Del resto i due romanzi sono pure abbastanza vicini cronologicamente, qualcosa in più di sei mesi l’uno dall’altro. Eppure fin dalle prime pagine di “Bering” ci si rende conto che il romanzo è un romanzo maturo, profondo, il cui stile non resta bloccato, dai temi trattati, in ridondanti e ampollosi giri di parole, ma che scorre via fluido e soprattutto camaleontico, capace – cioè – di adattarsi alle varie situazioni e al “vocabolario personale” di ogni personaggio, e ciò lo si evince maggiormente dalla completezza espressa nei dialoghi, vero banco di prova di uno scrittore. 
Le primissime righe del romanzo sono di una profondità immensa, tradiscono una sensibilità nell’autore – apparsa già in “Atlantide” – tipica dei grandi romanzieri.
La storia si presenta quasi subito con i suoi personaggi, e le debolezze di ognuno di essi.
Protagonista di questo romanzo è l’“io narrante” Mika Ganz, venticinquenne che per vivere procura tesi di laurea belle e pronte a laureandi con poco tempo e ancor meno scrupoli.
Attorno a lui orbitano – mai termine sembrò più azzeccato – le vite di altri personaggi, ciascuno con una loro caratteristica che li rende unici e soprattutto veri. Rabo, post sessantottino, ed in fondo post di tutto. Simbolo di una realtà che cambia e che in fondo, forse, non vorrebbe mutare. Amanda la ragazza di Mika, studentessa in legge alle prese con l’esame di procedura penale, impegnata in attività di volontariato, durante le quali conosce Daniele B., un ragazzone reso ingenuo e tremendamente bambino da un trauma avuto da piccolo. Marino, barbiere, amico di Mika, mafioso, un uomo che assume nel corso del romanzo diversi ruoli, decisivi e a modo suo dalla parte dei “buoni”. Il Gatto e il Volpe, sicari, killer, surrogati dei più famosi predecessori Collodiani – del resto il romanzo si riallaccia per certi versi a topos fiabeschi – , che in un perfido gioco di coincidenze e ribaltamenti di alleanze si ritrovano a fare favori alla stessa persona che devono eliminare.
Poi ci sono ancora altri personaggi che guidano la storia discretamente a volte, ed altre volte più incisivamente. Vaiola, l’amica omosessuale di Amanda ed artista che si esprime in un arte raffazzonata ed approssimativa; Silver-Silvia personaggio dapprima solo menzionato e piano piano palesato, sino a diventare reale in un modo diverso da come ci si potesse aspettare. Scarfatti assistente di Procedura Penale, che suo malgrado diventa oggetto di un tradimento platonico più che fisico e che comunque, sfoderando al momento opportuno la propria professionalità, risolve ben più di un problemino. Anna Comaschi alla ricerca – sembrerebbe di controvoglia – di una laurea Honoris Causa. Claudia giovane ragazza disabile che aspetta un figlio che lo stato vorrebbe toglierle. Ed ancora la madre “transilvanica” di Amanda che nutre un sano odio nei confronti di Mika per un’oscura storia riguardante una tartaruga, il padre di Amanda malato terminale al cui funerale si scioglie la storia, il padre di Mika alla ricerca di un cammino – più ideale che fisico – che non riesce mai a portare a termine, la madre di Mika che resta solo un fantasma di realtà, fatto di ingombranti assenze e di ricordi a volte dolorosi.
Il mondo il cui si svolge la storia è un modo simile al nostro, in cui tuttavia vi sono riferimenti e particolarità che lo fanno apparire come un universo parallelo, tema questo molto caro all’autore. Ed in effetti non è una scelta infelice, anzi è una scelta che consente di rispondere – seppur giocosamente in fondo – alla domanda: “come potrebbe essere il mondo se…”.
Un aspetto molto importante di tutta la storia, al di là degli intrecci e delle trame che devono per forza lasciarsi alla sensibilità di ogni lettore onde non guastare il gusto della loro scoperta pagina dopo pagina, è il modo in cui essa è raccontata. L’io narrante – Mika – è il personaggio principale, quello attorno a cui si svolgono gli eventi, tuttavia Avoledo non disdegna di sperimentare il passaggio dalla narrazione in prima persona a quella in terza persona, con esiti a dir poco sorprendenti. Il romanzo è come se prendesse vita, come se si creasse una realtà virtuale nella quale il lettore viene risucchiato divenendo egli stesso personaggio. Ciò, inoltre, consente all’autore di affrontare la storia secondo i punti di vista più diversi, offrendo diverse chiavi di lettura e mostrando l’intimo di ogni personaggio. Se, quindi, con “Atlantide” Avoledo aveva creato un film pagina dopo pagina, con “Bering” è andato oltre miscelando con mani esperte e sicure i generi tanto diversi del fumetto, del cinema e della cara e vecchia narrativa (leggere per credere). Ed a proposito di Narrativa, c’è da fare un’importante considerazione. Avoledo ha il gran merito di aver creato – ormai dopo “Bering” è lecito affermarlo – un genere nuovo, uno stile inesplorato dalla prevalentemente tradizionale narrativa italiana. Le uniche forme di sperimentazioni avute sino ad ora nel nostro panorama letterario sono comunque legate – e questo non può negarsi – a modelli trans-oceanici. Avoledo, invece, ha creato uno stile nuovo e accattivante in cui la vita di ogni giorno scorre in universi paralleli, come se tutti fossimo personaggi, calati in una Locanda Almayer – sospesa tra sogno e realtà - alla ricerca del significato delle cose, o in una “Matrix-realtà” pilotata da chissà chi e popolata dalla personificazione dei nostri dubbi e delle nostre incertezze, del nostro essere umani, dunque. Ciò consente di gustare sino in fondo la storia, penetrarla nei reconditi meandri, calarsi tra le virgole ed i punti, tra i maiuscoli ed i grassetti, tra le pause ed i “salti pagina” e di viverla così come farebbe uno dei qualsiasi personaggi del romanzo.
Tutto ciò dalla parte dell’autore, comunque, ha un prezzo da pagare. Un prezzo non economico ma morale. Il prezzo di avere una platea divisa, con solo estremi e nessuna posizione di mezzo. Il vecchio detto latino “In media stat virtus” stavolta non può funzionare. C’è infatti chi ama ed apprezza lo stile di Avoledo e chi, invece, ne è insofferente. È un destino comune ai grandi artisti questo, un destino tipico e “meritato” – nella fattispecie – che distingue e differenzia, in fondo, chi scrive soltanto da chi, invece, sa anche creare.
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ISBN: 978-88-518-0026-0
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