L'ultimo Catone - Matilde Asensi |
Si fa leggere ma non convince
L'ultimo Catone è un romanzo del 2001 della scrittrice spagnola Matilde Asensi, che ha acquisito una discreta popolarità proprio grazie a questo romanzo, approdato nel nostro paese nel 2005 per i tipi della Sonzogno.
La storia, raccontata in prima persona dalla protagonista, Suor Ottavia Salina, narra della ricerca filologica che pare nascondere il segreto del Paradiso Terrestre.
La storia prende le mosse dal ritrovamento di un cadavere di un etiope – morto in un incidente aereo – sul cui corpo sono ben visibili delle oscure scarificazioni ognuna delle quali rappresentante una diversa croce nonché sette lettere dell'alfabeto formanti la parola Stauros (= croce). Suor Ottavia, quindi, essendo la massima esperta di simbologia e filologia della Biblioteca Vaticana, viene incaricata – direttamente dai più alti vertici dello Stato Pntificio – di cercare di scoprire la natura ed il significato dei quei simboli. Da qui ha inizio la appasionante, questo è certo, ricerca del significato di quegli oscuri segni. Suor Salina durante il suo meticoloso lavoro, fatto oggetto anche di oscure macchinazioni di allontanamento e marce indietro, viene coadiuvata da due personaggi: il rude e misteriosissimo Kaspar Linus Glauser-Roïst – capitano delle Guardie Svizzere – e dall'archeologo Farag Boswell. Il trio, così stranamente assortito, scopre che quell'etiope con ogni probabilità faceva parte di una oscura e misteriosa setta, di cui sembrava essersi persa memoria: gli Staurophylakes, ossia i guardiani della Vera Croce. Dopo una serie di congetture, pseudo furti di manoscritti antichi, da cui emergerebbe che la setta sarebbe operativa da secoli e secoli ed al cui capo viene dato l'appellativo di Catone, i tre – anzi per l'esattezza il rude Kaspar (detto la Roccia) – hanno l'illuminazione che il nome Catone, potrebbe in qualche modo condurre al Purgatorio di Dante, essendo proprio Catone l'Uticense lo spirito che appare ai due poeti dopo l'uscita dall'Inferno. Da qui inizia una lettura insolita e, a tratti, affascinante del Purgatorio che sembrerebbe essere la via che consentirebbe all'uomo di scoprire il luogo delParadiso Terrestre, e quindi il luogo in cui sarebbe nascosta la Vera Croce del Cristo ad opera degli Staurophylakes (che nel frattempo sembrerebbero girare il mondo per rubare tutte le reliquie della Vera Croce).
Questo è, in sintesi, il nucleo centrale della storia narrata nel romanzo. Una storia che promette benissimo sin dalle prime battute, in cui i luoghi e l'alone di mistero sono abilmente descritti dall'autrice.
Tuttavia proprio nel momento in cui il romanzo dovrebbe rendersi più interessante e coinvolgente – e cioè non appena i tre protagonisti iniziano a sottoporsi alle prove descritte nella loro personale lettura del Purgatorio dantesco – la storia inizia a vacillare, sfocia spesso nell'incredibile e nel troppo fantasioso.
Si fa, infatti, troppa fatica ad accettare che la durezza delle prove sia così abilmente superata e superabile dai tre che malgrado qualche acciacco sembrano non risentirne mai troppo. La stessa Suor Salina, personaggio di spicco del racconto, finisce con l'essere descritta troppo spesso come una persona capricciosa, orgogliosa e che si lamenta un po' troppo. Kaspar, per converso è troppo duro. Una sorta di Rambo svizzero. Ci manca poco ma non si fa difficoltà alcuna ad immaginarlo che si cuce le ferite da solo con ago e filo. Farag è, invece, il buono a tutti i costi. Ateo. Ma pervaso da un buonismo ed un sentimentalismo davvero stridenti, a volte, con la natura della storia raccontata.
Certo, non da poco è l'evoluzione psicologica che Suor Salina subirà durante le prove. Una evoluzione che la porterà, parallelamente con il progredire della loro missione, a mettere in discussione tutta la sua vita, fino ad allora con certi principi e valori.
Ma all'interno della storia ci sono altre cose che, purtroppo, avrebbero potuto non esserci. La mafia su tutte. La vaga idea – in fondo in fondo non poi tanto vaga – che la famiglia palermitana dei Salina sia una famiglia mafiosa, non si comprende cosa abbia potuto aggiungere (o togliere) alla storia narrata. Si ha quasi il fastidio che l'autrice si sia abbandonata ad uno stereotipo fin troppo abusato: sicilia = mafia. Ma non si vuol certo credere questo. Con ogni probabilità l'autrice ha tratto spunto da questa circostanza per giustificare l'ultimo estremo colpo di coda – alla scoperta che Ottavia fa dei vari “affari di famiglia” – che avrebbe consentito ad Ottavia di slegarsi dal proprio passato in maniera netta e definitiva.
Il finale del romanzo è, in ogni caso, la parte che lascia più perplessi. Un finale inverosimile. Assurdo per certi versi e del tutto slegato dal contesto religioso e misterico che sembrava aleggiare ad ogni costo in tutte le copiose pagine del romanzo. Un finale che si legge a fatica. Che irrita. Che dà troppe cose per scontate. Che non rivela nulla. Che sembrerebbe tradire, da parte dell'autrice, una certa fretta nel chiudere il libro. Un finale che alla luce della carne al fuoco che – deve riconoscersi – la Asensi ha messo, lascia un amaro in bocca difficile da mandar giù. Specialmente per il lettore italiano che, non può fare a meno di chiedersi, infine, “ma che bisogno c'era di scomodare Dante?”
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ISBN 88-454-1214-8
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