Il Cerchio di Sangue - Jerome Delafosse

Il Cerchio di Sangue - Jerome Delafosse

Se c'è sostanza nel tempo si vedrà
Un uomo, Nathan Fahl, si sveglia dal coma e si ritrova in un asettico ospedale norvegese. Non ricorda il suo nome. I suoi anni e la sua professione, ma da subito ha l’impressione di essere braccato, controllato e che qualcuno abbia la seria intenzione di farlo fuori.
Inizia così “Il cerchio di sangue”, thriller d’esordio del giovane ex palombaro ed ex modello francese, Jerome Delafosse. E come inizio non c’è male. Seguendo nella lettura emergono altri elementi, che ormai possono essere definiti “classici” nella letteratura (può usarsi questo termine?) thriller che, da qualche anno a questa parte, sta largheggiando con lavori più o meno validi. Tra questi, ulteriori, elementi non può non menzionarsi l’oscuro manoscritto che, nel “cerchio di sangue” è rappresentato dal c.d. manoscritto di Elias, un gentiluomo del XVII secolo che, pare si sia imbattuto in chissà quale religioso segreto.
Nathan, dopo una vorticosa fuga dall’ospedale, per sfuggire – e non solo ne l significato letterale del termine – al senso di oppressione e controllo che avvertiva fra quelle mura, apprende di essere stato lui a trovare il manoscritto e di averlo inviato ad un emerito professore che vive ed opera presso la Biblioteca Malatestiana di Cesena. Ed il mistero inizia nuovamente ad infittirsi. Tra narrazioni al presente ed in terza persona, e flash back, narrati in prima in persona che altro non sono che la decifrazione di pagine dell’oscuro manoscritto, si assiste ad una spira di violenza e mistero che sembra legare indissolubilmente i destini di Nathan e dell’autore del manoscritto. Destini di morte. Di mistero. Di tremendi segreti religiosi. In questo contesto, inoltre, Nathan inizia a ricordare sensazioni e situazioni che non lasciano ben sperare circa la sua reale identità.
Questo, in estrema sintesi, il contenuto essenziale del romanzo. Il resto lo si lascia al piacere della scoperta che, di norma, dovrebbe accompagnare ogni lettore.
Si è detto che “il cerchio di sangue” è un opera prima. E come tale è possibile, nonché doveroso e saggio, perdonarle alcune pecche che, un autore più affermato, avrebbe certamente evitato. Nulla da dire sullo stile narrativo che appare, sin dalle prime pagine , accattivante ed all’altezza dei contenuti che si pregia di raccontare. Tuttavia, la narrazione appare, certamente, poco credibile nella parte relativa alla decifrazione del manoscritto. Il linguaggio è troppo moderno. Lineare. Poco emotivo. Non lascia, affatto, intendere che si tratti di parole scritte almeno quattro secoli prima. Certo, sarà stato anche effetto (o colpa?) della traduzione, ma sinceramente quelle sono le parti peggiori del libro e, invece, dovrebbero essere quelle su cui, in definitiva l’attenzione del lettore dovrebbe essere maggiormente indirizzata.
La storia, come detto, è avvincente. Ma sino ad un certo punto. Parte bene, continua – sotto certi aspetti – meglio, ma ad un certo punto, entra in campo il segreto religioso. Quello che, in tutti i modi, deve essere tenuto nascosto, quello per cui si arriva ad uccidere, snaturando, pertanto, il credo della religione stessa. E così lo scenario si sposta nel deserto, in Africa. In Sudan. Presso un oscuro monastero, dove la storia tra picchi di stanchezza estrema, giunge alla sua conclusione.
Ci si chiede, quindi, se sia necessario che ormai, dopo l’amato – odiato “Codice da Vinci” tutti i thriller, devono per forza avere ad oggetto la religione. Un segreto mai svelabile. Una setta disposta a tutto pur di tenerlo nascosto?
La risposta dovrebbero essere No, non è necessario. Tuttavia, sull’onda dell’entusiasmo, e delle vendite, che tali argomenti producono, autori ed editori si alleano in un connubio devastante per il piacere di leggere, ponendo sul mercato opere, certamente valide, me che tutto sommato sembrano essere le une le copie delle altre. Il cerchio di sangue, sarebbe certamente stato un ottimo romanzo e sotto certi aspetti lo è. Ma non può non evidenziarsi che l’aspetto religioso è forzatamente amplificato. E ciò – è troppo evidente – al solo fine di creare quell’effetto “Codice” che tanto ha rivoluzionato il thriller. Delafosse, si è detto, è novello autore e pertanto gli si può perdonare questa pecca. Scrive bene. Molto bene. I dialoghi sono costruiti, quasi perfettamente. La psicologia dei personaggi è dettagliata. E reali e vere sono le tribolazioni dell’animo di Nathan che, subisce lòe sensazioni che gli provengono dalla sua mente, senza però sapersene spiegare il perché. Ben descritti sono i luoghi. I passi scientifici, sembrano accurati, anche se certe soluzioni appaiono oltremodo azzardate (su tutte, si veda Nathan dentro la cella frigo).
La traduzione italiana, curata da Giovanni Zucca, ha reso il testo scorrevole e certamente fedele all’originale.
In definitiva un buon romanzo, da leggere con la consapevolezza che si tratta di un’opera prima e che, pertanto, ha il gusto ed il sapore dei frutti non ancora maturi. C’è comunque sostanza in Delafosse, e con il tempo, magari al secondo tentativo o, al terzo, certamente verrà definitivamente fuori.
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ISBN: 8845413780
ISBN-13: 9788845413780
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